Recensione a “Nomes de fume” di Míriam Ferradáns

Recensione a “Nomes de fume” di Míriam Ferradáns

Pescare è nominare la realtà nella rete poetica della memoria: Nomes de fume (Espiral Maior, 2017) di Míriam Ferradáns

AQUí estarás a salvo”. In maniera lapidaria si chiude come un cofanetto riscattato dalle profondità del mare il libro che porta in salvo la memoria di un lutto e riporta alla luce le trame oscure che si infittiscono dopo un tale avvenimento.Miriam Ferradans

Míriam Ferradáns nel suo Nomes de fume (“nomi di fumo”) sfida la morte e la non esistenza attraverso la rete del linguaggio poetico che ritrae e raccoglie il paesaggio marittimo della splendida costa di Bon (Bueu, Provincia di Pontevedra) insieme al paesaggio intimo e familiare.

Nella selezione della pesca poetica che serve a rinominare il mondo, solo il silenzio non viene mai pronunciato ma è individuato come nemico da rifuggire, il monstro che divora ogni forma e contenuto, ogni ricordo e ogni attimo vissuto come un abissale buco nero.

O monstro aliméntase de medo
da anguria a perder a casa
a non estar a salvo.

[…]

A súa alimentación, a nosa deriva,
comezar a perderle o respecto ao monstro,
ver ao lonxe,
pensar na sede, desexar a carestía, querer matalo de fame

e sentir medo coma sempre
e coma sempre
mastigalo con sabor a tabaco, con cheiro a espiña,
con mirada amortuxada, con fillos, sen tacto,
á norte, á terra, á carne, á paixón e a Deus.

Co vestido azul eras o ceo que asimila as estrelas todas
e nos devolve o resplandor nos teus ollos mortos.

[…]

Os lazos tamén alimentan o monstro, a piedade, a redención. (pp. 46-47)

 

Il mostro si alimenta con la paura
dell’angoscia di perdere la casa
di non essere in salvo.

[…]

La sua alimentazione, la nostra deriva,
cominciare a mancare di rispetto al mostro,
guardare lontano,
pensare alla sete, desiderare la carestia, volerlo uccidere di fame

e avere paura come sempre
e come sempre
masticarlo con sapore a tabacco, con odore a spina,
con lo sguardo spento, con figli, senza tatto,
verso il nord, la terra, la carne, la passione e Dio.

Con il vestito azzurro eri il cielo che assorbe tutte le stelle
e ci restituisce lo splendore nei tuoi occhi morti.

[…]

Anche i legami alimentano il mostro, la pietà, la redenzione.

 

Os lazos, i legami familiari, i nodi nella rete, sono punti da sciogliere per poter scegliere visioni diverse e aperte, vite future e possibili. Così la casa è un “lugar escuro […] onde só compartimos as derrotas e o sangue” (un luogo scuro […] dove solo condividevamo le sconfitte e il sangue) e anche la possessività e l’eterno ritorno delle storie e dei vincoli familiari possono “uccidere” (17). In questo senso si comprende che “o amor é salvaxe”, rispetto alle ansie e alle premonizioni salvifiche familiari.

 

Cando saímos da casa deixamos o corazón alerta
ir para quedar.
O rastro perpetuo para o regreso:
dor, pensamento, vísceras, sangue
(18).

 

Quando usciamo di casa lasciamo il cuore in allerta
andare per rimanere.
La scia perpetua verso il ritorno:
dolore, pensiero, viscere, sangue.

 

In questo senso, la sentenza finale riferita al potere salvifico della poesia  – “qui sarai in salvo” – si contrappone lungo il libro al suo svuotamento quando diviene una strenua ripetizione protettiva. In questo senso anche le proibizioni e gli ammonimenti vissuti in casa appartengono al lato oscuro di ciò che ci è negato conoscere, dove si allunga l’ombra del silenzio.

 

Tamén é pecado todo canto pronunciamos e arde:
palabras de amor, nomes, caricias,
os nosos peteiros abertos
esperando o verme
ou a palla.

Temos fame e Deus nunca nos proverá de alimento.

– É pecado negar o garfo.

Pero precisamos coñecer as nosas mans,
dominar o territorio, conquistalo,
achegalas mansamente á boca
(20)

 

È pure peccato tutto ciò che pronunciamo e arde:
parole d’amore, nomi, carezze,
le nostre tasche aperte
aspettando il verme
o la paglia.

Abbiamo fame e Dio non ci provvederà di alcun alimento.

– È peccato rifiutare la forchetta.

Ma abbiamo bisogno di conoscere le nostre mani,
dominare il territorio, conquistarlo,
avvicinarle sommessamente alla bocca.

 

La ricerca dell’esperienza diretta, sentire e provare per conoscere oltre ogni forma precostituita di prevenzione, paura e ammonimento diventa il modo per rendere credibile ogni credenza e per rifuggire da ritualità vuote, siano esse laiche o religiose ( “eles pensaban en Deus; nós, na terra”, p. 33), o dai sensi di colpa:

 

Ese ano, a familia falta á procesión
e á festa.

Aínda teñen os seus corpos abertos de parte a parte
e a música
é pecado.

Pretenden negar así
a ausencia e a vergoña.
(27)

 

Quest’anno, la famiglia è assente alla processione
e alla festa.

Hanno ancora i corpi aperti da parte a parte
e la musica
è peccato.

Pretendono così di negare
l’assenza e la vergogna.

 

Alla vacuità dei riti e all’evanescenza del corpo sotto terra si oppone solo la parola.

 

Lembra:
O que non se pronuncia non existe,
o que non se pronuncia non existe.

Eu pronuncio o teu nome de fume e pedra. (43)

 

Ricorda:
Ciò che non si pronuncia non esiste,
ciò che non si pronuncia non esiste.

Io pronuncio il tuo nome di fumo e di pietra.

 

Pronunciare significa rendere materiale l’immateriale e l’esperienza rende ontologica ogni momento di esistenza fino alla morte, come quando si mangiano i pesci fino a risalire alla loro morte.

 

Cuarteas a anatomía dese corpo que lles pertence
ti buscas o lugar exacto onde se cravou o anzol.
è importante coñecer o intre no que sobrevén a morte.
(32)

 

Sezioni l’anatomia di questo corpo che gli appartiene
ricerchi il luogo esatto in cui si è conficcato l’amo,
è importante conoscere l’attimo in cui sopravviene la morte.

 

Andare a ritroso attraverso l’esperienza diventa una ricerca nella memoria dei sensi,  entrare nelle ferite (“A ferida è unha nai aleitadora”, “La ferita è una madre che allatta”) significa risalire il corso del sangue, anche se

É inútil retomar ese camiño, o sangue tamén enferruxa
como a memoria

[…]

Non lembramos nada do pasado
pero levámolo dentro
non ves que aínda sabemos o seu nome?
(30)

 

È inutile riprendere questa strada, anche il sangue arrugginisce
come la memoria

[…]

Non dimentichiamo nulla del passato
ma lo portiamo dentro
non vedi che ancora sappiamo il suo nome?

 

In questo senso il rimando alle ceneri presenti nelle due epigrafi – rispettivamente di Antonio Gamoneda e Juan Eduardo Cirlot – segnalano il libro come luogo letterario dove rovistare per trovare e conservare l’ultima brace che arde.

 

Cando o sol baixa máis aló da Illa,
pronunciamos
en segredo
o teu nome de cinsa.

A putrefacción é unha mentira,
o silencio é unha mentira,
o pecado é unha mentira, a casa é unha mentira.
(42)

 

Quando il sole tramonta oltre l’isola,
pronunciamo
in segreto
il tuo nome di cenere.

La putrefazione è una bugia,
il silenzio è una bugia,
il peccato è una bugia, la casa è una bugia.

 

Ma è solo lontano dal paesaggio familiare e dai luoghi delle origini che la poetessa trova consolazione alla sua memoria “amarela” – gialla come la nostalgia e i fluidi della teoria degli umori classica – attraverso la contemplazione del cielo argentino e dell’opera Bacio dello scultore Brancusi, presente in una mostra a Buenos Aires.

 

Na escultura do bico o amor è ciclope,
os brazos longuísimos representan
a dozura do lazo tallado na pedra,
a negación do afogamento,
a representación da distancia entre o corazón e a casa
(45)

 

Nella scultura del bacio l’amore è ciclope,
le braccia lunghissime rappresentano
la dolcezza del legame inciso nella pietra,
la negazione dell’annegamento,
la rappresentazione della distanza fra il cuore e la casa.

Marco Paone

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